IL CLIENTE
moralmente complesso e assolutamente coinvolgente
Non sarà una sorpresa per gli ammiratori dello scrittore e regista iraniano Asghar Farhadi che il suo nuovo film, “Il cliente”, si svolga principalmente in un paio di appartamenti anonimi. Come ha dimostrato in “Fireworks Wednesday” (2006), “A Separation” (2011) e “The Past” (2013), Farhadi eccelle nel trovare il mistero nel banale. Ancora e ancora, inserisce la sua macchina fotografica in scene di confusione domestica meticolosamente coreografata, trasformando una serie di stanze interconnesse in spazi di intima rivelazione psicologica. Nel film incombe un tipo di spazio ancora più artificiale che nei suoi precedenti.
“The Salesman”, vincitore dell’Oscar per il miglior film in lingua straniera nel 2017, è stato presentato per la prima volta in concorso al Festival di Cannes 2016, dove Farhadi è stato premiato per la migliore sceneggiatura e Hosseini come miglior attore.
Il film ha come protagonista una coppia sposata, Emad (Shahab Hosseini) e Rana (Taraneh Alidoosti), attori principali di una produzione teatrale di Teheran, “Death of a Salesman”.
Nell’opera messa in scena, ci sono scorci avvincenti delle sfide poste dalla traduzione di un classico americano in persiano e dall’addomesticamento del suo contenuto per l’approvazione dei censori locali.
Farhadi è molto più interessato però a trattare la storia di Willy Loman come un contrappunto tematico al suo macchinario narrativo, incoraggiandoci a leggere le somiglianze e le differenze tra una casa infelice e un’altra.È una presunzione d’arte un po’sgraziata che imita la vita, ma Farhadila completa in modi sorprendenti. La nudità del palcoscenico teatrale, con le sue luci brillanti e i suoi mobili radi, rispecchia le circostanze temporanee di vita in cui Emad e Rana si ritrovano dopo il crollo del loro condominio, costringendoli a trovare una nuova casa.
L’appartamento sul tetto che finiscono di affittare da Babak, un altro membro della loro compagnia, è tutt’altro che ideale. L’affittuario precedente è stato sfrattato da Babak su insistenza dei suoi vicini, e ha lasciato metà dei suoi averi alle spalle e si rifiuta di venire a prenderli.Più tardi si scopre che si trattava di una donna di “molte conoscenze” – un eufemismo il cui significato diventa chiaro quando una sera inconsapevolmente Rana apre la porta a un intruso, con risultati devastanti.
Non rivelerò qui l’esatta natura del crimine, in parte perché il film, forse rispecchiando la discrezione dei suoi personaggi, non lo spiega nemmeno del tutto. Gli effetti traumatici sono abbastanza chiari e Farhadi, lavorando con il cineasta Hossein Jafarian, traccia gli schemi narrativi con realismo non verniciato e sensibilità acuta.
Rana, ferita fisicamente ed emotivamente sfregiata dal suo incontro con uno sconosciuto, si ritira in un santuario di rabbia, dolore, distacco e necessità. Nel frattempo, Emad affonda sempre di più nel suo inferno privato, diviso tra l’istintivo desiderio di proteggere la moglie e l’orgoglio maschile ferito, trasformando il suo bel viso in un cipiglio rabbioso.
Farhadi assicura che ogni svolta narrativa riveli degli elementi nuovi su ogni singolo personaggio – e qualcosa di più: una visione sorprendente, come un laser che illumina i particolari dei diversi ambienti sociali e culturali che hanno modellato i personaggi svelando le ragioni delle loro reazioni. L’intreccio di “The Salesman” non è immaginato in modo così complesso come in alcuni dei suoi film precedenti, e l’elemento investigativo della storia sembra più convincente dal punto di vista narrativo.
Le scene finali di “The Salesman” poi hanno un potere devastante, in gran parte grazie alla presenza di un uomo più anziano la cui storia getta un’ombra sul matrimonio di Emad e Rana come la recita di Arthur Miller in cui si esibiscono.
Se il lavoro di Farhadi ha un tema dominante, potrebbe benissimo essere la grande intuizione compassionevole di Renoir – dichiarata memorabilmente nel suo capolavoro del 1939, “Le regole del gioco” – che “tutti hanno le loro ragioni”. Questo è altrettanto vero per Babak, che per suo interesse non ha rivelato la storia dell’ex inquilino al momento dell’affitto dell’appartamento a Emad e Rana, come lo è per i loro vicini per lo più invisibili, i cui pettegolezzi portano indirettamente alla tragedia. Ed è sicuramente vero per l’inquilina precedente, di cui non vediamo mai il volto, ma i cui oggetti rimangono in casa per testimoniare in modo provocatorio la sua inconfondibile umanità.